La Prostituta – Se vede che se’ friulano, me l’ero immaginato. Ma che sta’ a fare a Parco Paolino? […] Mo’ hai fatto ’na bella conoscenza: m’hai conosciuta a me! Io c’avevo un’amica mia friulana. Era brava. Brava brava. […] Poi ce sapeva fa’: a quelli dell’Alt’Italia ‘e rispettano de più; tutti un rispetto, tutti ’na devozione… Ma io lo so perché a voi dell’Alt’Italia nessuno ve manca mai de rispetto. […] Parlate così bene, c’avete ’na parlata così bella. Io ci faccio ’na malattia a sentirve parla’! […] M’ha scritto l’anno scorso a Natale. Dice che ha smesso de fa’ la vita e ch’aspetta la licenza per un bar. Ma s’è scordata de scrive’ l’indirizzo suo, e così non ho più risposto. Chissà cos’avrà pensato? Forse se creduta ch’ero morta.
“E ggià la Commaraccia / secca de Strada Giulia arza er rampino...”
Giuseppe Gioachino Belli
Il corpo senza vita di una prostituta viene trovato in un campo sul greto del Tevere. La polizia inizia subito le indagini e individua cinque sospetti appartenenti alla fauna della periferia romana. Mediante un sottile gioco a incastro, i loro vari interrogatori fanno da filo rosso al racconto, insieme ai flashback “a episodi” dell’ultimo risveglio pomeridiano dell’anonima vittima. Tra evidenti bugie e mezze verità, il ladruncolo detto “il Canticchia”, l’ex magnaccia Bustelli (che vive alle spalle della moglie e della suocera strozzine), l’ingenuo soldatino calabrese “Costantino Teodoro”, il friulano Natalino e il sedicenne Francolicchio, ancora sotto choc per la tragica scomparsa dell’amico Pipito, ci raccontano ognuno a sua volta la loro giornata balorda di sole e di pioggia, prima di essersi ritrovati tutti, verso mezzanotte, nei pressi del Parco Paolino… Finché un testimone citato da uno di loro aiuterà i poliziotti a individuare in una balera il colpevole, vale a dire quello che aveva mentito più degli altri.
Credits
Bernardo Bertolucci
Bernardo Bertolucci e Sergio Citti, da un soggetto di Pier Paolo Pasolini
(b/n, 35mm, 1.66:1) Gianni Narzisi; operatore Emilio Giannini
Adriana Spadaro
Nino Baragli
Piero Piccioni; Aria del Gran Duca di Santino Garsi da Parma (1542-1604); canzoni Come nasce un amore di Nico Fidenco, Addio, addio di Claudio Villa
(mono) Sandro Fortini
Adolfo Cagnacci
Elisa Carnevali
Vanda Rocci (la prostituta), Francesco Ruiu (“Canticchia”), Giancarlo De Rosa (Nino), Vincenzo Ciccora (“Sindaco”), Alfredo Leggi (Bustelli), Gabriella Giorgelli (Esperia), Santina Lisio (madre di Esperia), Carlotta Barilli (Serenella), Allen Midgette (Costantino Teodoro), Alvaro D’Ercole (Francolicchio), Romano Labate (Pipito), Lorenza Benedetti (Milly), Emy Rocci (Domenica), Erina Torelli (Mariella), Silvio Laurenzi (uomo con l’impermeabile), Renato Troiani (Natalino), Marisa Solinas (ragazza di Natalino), Gianni Bonagura (voce del commissario), Clorinda Celani, Ada Peragostini, Nadia Bonafede, Ugo Santucci, Santina Fioravanti, Elena Fontana, Maria Fontana
Tonino Cervi per la Cinematografica Cervi; direttore di produzione Rodolfo Martello
Cineriz
88′
Roma (Giardini dell’EUR, Parco Paolino, Monteverde Vecchio, Villa Sciarra, Colosseo, ecc.); aprile-maggio 1962
23° Mostra del cinema di Venezia, 1962
3 novembre 1962
CSC – Cineteca Nazionale, 2019
Più che altro, La Commare secca va considerato un pretesto per sviluppare alle dimensioni del lungometraggio il tema dell’”impermanenza”, già presente nel corto La teleferica, girato da Bertolucci a 15 anni. Del testo pasoliniano, il regista ha rispettato essenzialmente la struttura a più voci e l’episodio di Francolicchio e Pipito, inventando invece di sana pianta — insieme a Sergio Citti — quattro delle cinque storie che ci vengono raccontate nel film, nonché il filo rosso con l’alzarsi della protagonista per andare al lavoro. (In Pasolini la vittima non era una prostituta, bensì un omosessuale). L’idea del tuono che collega puntualmente i vari episodi potrebbe avere ispirato il famoso colpo di pistola in Mystery Train (1989) di Jim Jarmusch. [F.G.]
27 agosto. Al termine della proiezione di questa insigne opera, quanti ignoravano i testi letterari del poeta-regista Bernardo Bertolucci incominciano a sospettare, se tanto mi dà tanto, che si tratti dell’autore della Vispa Teresa.
Bernardo Bertolucci dichiarò in una sua intervista che la forma d’arte che più rassomiglia al cinema non è il romanzo o il teatro o la pittura bensì la poesia. E questo, se ben comprendiamo, non in senso crociano, cioè nel senso che non si dà arte senza poesia, ma nel senso più stretto e più particolare di un approccio alla realtà soltanto poetico, ossia del tutto irrazionale e ineffabile.
Dopo aver veduto La Commare secca, pensiamo che Bertolucci, almeno per quanto lo riguarda, abbia avuto ragione nel paragone tra cinema e poesia. Infatti, le parti migliori dimostrano, con la felicità oscura e lieve del trattamento, il carattere misterioso della scelta dei personaggi, la grazia e il ritmo narrativo, e soprattutto con quel tanto d’inespresso ch’è proprio all’espressione poetica, che la sua affermazione è esatta. Il talento di Bertolucci è principalmente poetico, cioè rivolto a cogliere il leopardiano “punto acerbo” della vita, ossia il momento d’affioramento e di spasimo del fatto esistenziale. Il film ha un avvio che ricorda un poco Rasciòmon; per un momento si pensa che si tratta di un’illustrazione dell’impossibilità di conoscere il vero. Poi, tutto a un tratto, si comprende che il fine è invece di mostrarci una tranche de vie di specie tutta moderna, senza alcun pregiudizio veristico e sociologico, cioè, come si è già detto, poetica.
L’Italia, dunque, presentava quattro film. La Commare secca (cioè la Morte) di Bernardo Bertolucci, da un soggetto di Pasolini, del quale è stato assistente regista, è il rappresentante tipo dello “stile spaghetti” che attualmente trionfa fra i giovani italiani. Non ha né consistenza né tenuta e sbanda da tutte le parti. Molto zoom zoom e un po’ di trallallà per rendere i torbidi andirivieni di quegli strani animali che sono gli habitué notturni dei parchi cittadini. Bertolucci non è ancora all’altezza di esaltare il mondo dell’abiezione.
Gli “amici degli amici” hanno sostenuto — prima e dopo Venezia — che nell’opera d’esordio del giovanissimo regista si trovasse poesia a copia. A noi, a dire il vero, l’affermazione lascia molto perplessi parendoci piuttosto che nel film manchi quella che è la base stessa della “poesia”: la necessità interiore. La Commare secca ci pare anzi, in tale senso, proprio un’opera “non necessaria”, di cui sfuggono in buona parte le ragioni e i motivi. Certo se vi fosse un premio per i film girati dai ventenni non avremmo il minimo dubbio nel darlo a Bertolucci. Ma sinceramente ci sembra eccessivo e pericoloso — proprio per lui — dimenticare che il premio non c’è. E che Bertolucci, se come ventenne è eccezionale, come cineasta è solo un ventenne.
La Commare secca non ha la desolata pietà di Accattone, né il forte oggetto drammatico di Mamma Roma; è piuttosto opera sommessa, più sussurrata che “urlata”, malgrado la materia sia pur sempre quella — brulicante e arroventata — dei più noti romanzi pasoliniani. Non è questa, però, una deficienza di Bertolucci, una sua incapacità a ritrovare il ritmo, la forza denunciante, la vastità colorita del campionato umano che affolla le opere di Pasolini. S’avverte infatti in Bertolucci, già matura e cosciente, una diversa personalità di poeta, un diverso indirizzo creativo che conduce il neoregista verso interessi, anche stilistici e figurativi, forse più vicini a taluni postulati del “Free Cinema”. La Commare secca mostra, con le sue pause, con i suoi lunghi silenzi, con i suoi giorni perduti, il desiderio di rinvenire, anche nelle figure abnormi del “pappone”, del vagabondo e del Canticchia, una mestizia umana che recupera questi “ragazzi di vita” a una problematica assai vicina a certi temi dell’angoscia esistenziale cari alle correnti più avanzate del cinema contemporaneo. Non sembri azzardato l’accostamento, su tale via, le punte più impegnate della nouvelle vague, restando però fermamente acquisito che a La Commare secca mancano le pretenziose intemperanze, le eccessive preoccupazioni formali che del cinema d’Oltralpe costituiscono i limiti più evidenti. Si veda, in tal senso, l’episodio del Canticchia che riesce a comunicarci il grigiore di una vita triste, priva di luce; si pensi alla desolata solitudine dei tre ladruncoli, in quella grotta gocciolante e fradicia, mentre tutto attorno scroscia violenta la pioggia. Il vertice di questa vibrante rappresentazione poetica è nel lungo, commosso sguardo con cui il soldato segue il convoglio che scorre veloce sui binari verso il Sud: i suoi occhi riflettono, in un attimo, un gioioso amore per la terra lontana, la promessa del ritorno, una nostalgia beata e sottile. Non per nulla la breve, riuscita sequenza si chiude con uno struggente carrello indietro che viene inquadrando con lentezza un museo di relitti umani in attesa del sole.
Solo La Commare secca è riuscito a salvare finalmente l’onore della selezione italiana. Diretto da un giovane di 21 anni, il film è vagamente basato su un soggetto di Pasolini. Ognuno racconta la sua storia; ciascuno mente. Il punto, però, non è l’impossibilità di determinare la verità: anzi, le loro bugie sono il mezzo attraverso il quale il regista ci rivela i suoi personaggi. Quel che è straordinario è il modo in cui Bertolucci è capace di comunicare la sua eccitazione nel girare il film. Ecco un uomo che sa come usare il film non solo per raccontare una storia ma anche per esprimere la propria personalità. La sua tecnica “muscolare” e il suo stile nervoso impongono l’attenzione.
Purtroppo Bertolucci è stato vittima del fatto che la reputazione di essere un secondo Pasolini lo aveva preceduto al Lido. La Commare secca è stato stroncato dai critici italiani a Venezia, forse perché gli era stato raccontato che è un capolavoro. Ovviamente, non è un capolavoro. Ma un brillante piccolo film, ricco di ingegno e invenzione; Bertolucci è un poeta cinematografico più ancora che Pasolini stesso. Laddove Pasolini crea la sua poesia esternamente, lui è creativo con la sua macchina da presa.
Negli intervalli fra ogni episodio, noi ritorniamo alla stanza della prostituta e vediamo la donna che si alza per andare al lavoro: questa ripetizione suona come il refrain in una ballata. Ciò che affascina inoltre in Bertolucci, a parte la perizia tecnica, è che diventiamo profondamente interessati a tutti i personaggi: sono tutti autentici esseri umani. E dobbiamo alla sua abilità di regista l’essere riuscito a trasformare un attore americano [Allen Midgette] in un contadino italiano, con tanto di gestualità del viso e delle mani.
Attraverso una boscaglia di eucalipti, oppure il vieto e anticinematografico Colosseo, vengono espressi con accuratezza, prescindendo dai mezzi comuni cinematografici come recitazione, commento sonoro ecc., ma soltanto con l’immagine, gli stati d’animo e le sensazioni dei personaggi o del loro autore: una realtà epidermica e sfuggente, aleatoria nei suoi valori, ma emotivamente sollecitatrice per lo spettatore sottile e sensibile. Un cinema così inteso si apparenta con evidenza alla nouvelle vague che nell’opera del giovane regista mostra una intelligente e assidua presenza. Dei francesi Bertolucci ha la propensione per film di “situazione” di un intimismo non più psicologico ma atmosferico, alla ricerca del rarefatto e dell’ineffabile. In particolare modo ricorda Truffaut: li accomuna quel trasporto sentimentale e la ricerca di una via registica improntata, sulla scia di Rossellini, alla più libera e intuitiva espressione. Nell’episodio degli adolescenti che si incontrano con le loro coetanee si possono scorgere gli echi di quello splendido mediometraggio (una delle cose migliori di Truffaut) che è Les Mistons, dove però la freschezza poetica della rappresentazione era più riuscita che nell’episodio di Bertolucci, certo superiore al francese in perizia tecnica.
Dissolvere la struttura narrativa, prescindere da una esatta coerenza in funzione di una rappresentazione prettamente lirica può andare bene quando le capacità creative sono fortemente mature e salde e la storia, cioè lo “spettacolo”, non necessiti né di struttura né di psicologia.
Bertolucci, rampollo della borghesia di Parma, nutrito di una cultura aperta alle influenze estere, impregnato di una natura con la quale i suoi intermittenti rapporti mantengono una propensione al sentimento pastorale ed elegiaco, realizza il suo primo film in una specie di stato di grazia. Nella parte iniziale della sua opera, che si conclude con lo stridente e vivificante Partner, girato in pieno Maggio ’68, egli espone nel senso migliore della parola lo stato d’animo attraverso il quale percepisce gli avvenimenti. In questo senso, La Commare secca è forse l’unico film autenticamente adolescenziale della storia del cinema. Esprime in modo perfettamente limpido la visione pura dei cineasti adolescenti (virtuosismi tecnici, provocazioni, originalità ostentata ecc.), ricca di qualità effimere: fervore e incoscienza, che generano certe audacie formali che sbocciano una volta sola.
Per anni sono stato un topo di cineteca ed è attraverso i classici dello schermo che ho scoperto fino a che punto il cinema può essere poesia. Realizzando questo primo film, ho cercato di dare a ogni immagine una forma lirica e una forza espressiva, e un ritmo preciso alle sequenze. È attraverso il montaggio che il cinema si allontana dalla narrazione per avvicinarsi alla poesia. Perciò, ho girato avendo il montaggio già pronto: avevo in testa un ritmo, l’inizio e la fine delle scene. Ma soprattutto il mio stato d’animo, quando prendevo posizione dietro la macchina da presa, era lo stesso che quando scrivevo le mie poesie… Non ho lo stesso modo di Pasolini di pormi davanti alla realtà. Abbiamo lo stesso senso drammatico di un destino aleggiante, però in me c’è un’attitudine velata da una sfumatura di ironia.
Siamo andati alla Mostra di Venezia contando sul premio all’opera prima, che Bernardo non ha avuto, mentre ha avuto i soliti fischi, perché dove appariva il nome di Pasolini erano subito pernacchie e urli, e gli stessi che lo fischiavano dicono oggi di averlo sempre amato, di essere sempre stati suoi amici. Una volta accettata la proposta di farlo fare a Bernardo, Pier Paolo non è intervenuto, è comparso qualche volta sul set, ma Bernardo ha fatto tutto per conto suo. Veniva dalle schiere dei cinéphiles, era influenzato dai giapponesi, e così ne ha fatto una cosa molto diversa dal modello di Accattone. Bernardo aveva una grande devozione nei confronti di Pier Paolo, come d’altronde tutti quelli che lo conoscevano: era un grosso cervello e non si poteva non restarne affascinati, intellettualmente e umanamente, perché come le rare persone molto intelligenti era anche la semplicità personificata.
Dopo il concorso di Miss Italia, dove venni consigliata di ritirarmi dal patron, Mirigliani, a causa dalla giovane età (ero minorenne), uscirono molti articoli sulla stampa che citavano il mio caso. Così Pier Paolo Pasolini vide le mie foto e mi convocò a Roma (all’epoca vivevo a Livorno) per un ruolo in Mamma Roma, con Anna Magnani. Pasolini fu piacevolmente colpito dal nostro incontro, e pure non vedendomi per quel film, ebbe l’idea di propormi al suo aiuto, Bernardo Bertolucci, che debuttava nella regia con un soggetto pasoliniano dal titolo La Commare secca.
La condizione posta dallo stesso PPP era che io risiedessi nella capitale, perché era programmato a giorni l’incontro decisivo. Dal suo sguardo avevo capito che l’idea era giusta per La Commare secca, e mentii spudoratamente dicendo che abitavo a Roma. In verità, avevo solo 30.000 lire in tasca e il biglietto di ritorno in treno per Livorno. Pertanto, attraverso un’inserzione trovai un posto come dama di compagnia presso una baronessa nel quartiere Parioli. Due giorni dopo venni chiamata da Bertolucci e dal produttore Tonino Cervi. Mi firmarono subito il contratto, la cui entità era 250.000 lire, una somma che non avevo mai guadagnato in vita mia! Iniziava la carriera sui set. La trama, essendo di ambientazione neorealista, si avvaleva tra l’altro di interpreti presi dalla strada. Una situazione che a volte mi metteva a disagio però: da giovane provinciale, non mi ero aspettata una realtà così cruda. L’occasione offertami da PPP e BB mi procurò grandi riconoscimenti artistici che mi aprirono la strada anche ad altri autori di chiara fama: per primo Monicelli, poi i Taviani, Maselli, Lizzani, Montaldo ecc. Perfino Fellini, e il francese Lelouch. La cosa era scritta negli acronimi PPP, BB, GG. Coincidenza meravigliosa.
Dopo il mio fortunato esordio nel cinema d’autore con Boccaccio ’70 i produttori mi presentarono a Pier Paolo Pasolini e al giovane regista Bernardo Bertolucci. Entrambi erano impegnati nella realizzazione della Commare secca e concordamente non esitarono a farmi entrare nel cast del film. Da quel momento, lentamente, profondamente e segretamente iniziò il mio grande amore per Bertolucci. Quel giovane straordinario, intelligente, sempre gentile, mi dava una sicurezza immensa, riusciva a farmi recitare con grande spontaneità e leggerezza. Tutto, con lui, sembrava stupefacentemente quotidiano. Mi ingelosiva terribilmente, però, questa sua disponibilità umana, questo suo calore conviviale che avrei preteso tutto per me. Lo amavo.
L’aver recitato nel primo film di Bernardo, La Commare secca, rimane la mia più bella esperienza in quanto attore. Lui era così disponibile e gentile con me. Era come fare parte di una meravigliosa famiglia. Ancora oggi, mi piace rivedere questo film che mi riporta indietro a una stagione molto importante della mia vita nella Città Eterna.
Grazie, Bernardo.
Con affetto, Allen
Per La Commare secca, come ho già scherzosamente sostenuto, io credo che mentre la mia idea estetica è un’idea di un mondo frontale, massiccio, romanico, chiaroscurale, a tutto tondo, statuario, invece l’idea di Bertolucci è un’idea più elegante, moderna, cioè un’idea impressionistica, poiché i pittori che sono alla radice della sua ispirazione visiva sono gli impressionisti francesi, e il cinema francese anche.
Era uno dei primi giorni, se non il primo, in un bosco dalle parti dell’EUR. Bernardo dava ancora l’impressione di essere un signorino e pretendeva di fare passare il carrello dentro una galleria strettissima che aveva notato nell’argine di tufo. Subito il capo macchinista gli rispose che era impossibile, che non c’era lo spazio, che toccava insomma trovare un’altra soluzione. Rivedo ancora come Bernardo chiese allora un martello, poi si mise ad allargare da solo il famoso buco, così da trasformarlo in un budello vero e proprio. Dopo pochi minuti, i macchinisti scavavano il tufo a loro volta e nel giro di un’oretta i binari erano pronti per una magnifica carrellata. Da quel momento in poi, la troupe sapeva che anche le idee più strane del “Dottore” andavano prese sul serio. Era un regista nato.