La miracolosa libertà del cinema

A quattro anni dalla scomparsa di Bernardo Bertolucci proponiamo questo testo tratto della lectio doctoralis tenuta al Teatro Regio di Parma in occasione della laurea honoris causa in Storia e critica delle arti e dello spettacolo, conferitagli dall’Univeristà di Parma il 16 dicembre 2014. Il brano è pubblicato anche in Il mistero del cinema (a cura di Michele Guerra, La nave di Teseo, 2021).

Di seguito trascriviamo una nota che Bertolucci detta per il regista, autore e curatore Giulio Macchi. Il documento, conservato presso gli archivi Bertolucci, è una folgorante Top Ten delle cose che più ama.

Stile

Non ho mai pensato allo stile del film come a un progetto cui dovevo attenermi, come a un obbiettivo da raggiungere secondo idee precostituite. Da una parte lo stile del film ha a che fare con lo sguardo della storia che si vuole raccontare, uno sguardo che attraversa gli ambienti, si posa sui personaggi e scorre tra le relazioni che si instaurano. Dall’altra parte, lo stile è ciò attraverso cui cerchiamo un rapporto specifico e diretto con lo spettatore, il quale – al di là della trama – entra in contatto con un “di più” che, per quanto sia legato ai fatti narrati, li oltrepassa, li illumina più precisamente, o magari li rende più ambigui, più misteriosi.

Io mi sono fatto un’idea del cinema un po’ miracolistica: come dicevo, quando ero con Pier Paolo mi pareva di assistere sul set di Accattone alla creazione del cinema, e lo stesso mi era successo quando avevo provato a fare i miei primissimi film. Anche l’innamoramento per Godard era dovuto a quell’idea di miracolosa libertà del cinema, per cui girare un film significava sopratutto entrare in una dimensione magica, che poteva trasfigurare il mondo reale, e che faceva sì che quando poi ti trovavi a Parigi ti sembrava veramente di essere dentro un film della Nouvelle Vague.

Il momento stilistico è anche il momento in cui ti sembra di sentire la vita del film. Io ho sempre cercato di muovere molto la macchina da presa nei miei film, non soltanto per dare informazioni diverse o più precise allo spettatore, ma anche per dare respiro al sistema di rapporti che andavo raccontando. È qualcosa che ha molto a che fare con la scrittura e che contiene forma di desiderio, per riallacciarci a quanto diceva Barthes, diverse. Il carrello, ad esempio, mi ha sempre fatto pensare alla poesia, è come se tu scrivessi poesie con un tipo di metrica differente: serve per dare movimento, come accade in un verso. Il dolly è come una specie di grande respiro, che riesci a far provare anche al pubblico in sala, mentre nel movimento della panoramica è contenuta l’imprevedibilità rispetto a ciò che accadrà, e ciò che ti troverai a vedere una volta finito il movimento. Lo zoom l’ho usato pochissimo, lo sento come un movimento che rivela in sé qualcosa di falso e questo mi porta a sottolineare uno degli aspetti per me fondamentali quando parlo di stile: lo stile ha a che fare con la morale, del film e del suo autore.

Bernardo Bertolucci

Top ten

Caro Giulio,
ecco i miei 10 top ten. Sia chiaro a te come lo è a me che domani avrei altri 10 top ten differenti da questi e così via.

1. Il battistero di Parma (prima del restauro)
2. Il ballo in maschera – Callas-Di Stefano-Gobbi, direttore Tullio Serafin
3. La Règle du jeu di Jean Renoir
4. Lo stupa buddista di Boudhanath nella valle di Kathmandu
5. Tutte le poesie di Attilio Bertolucci
6. Il ricordo delgi anni ’60
7. Una bottiglia di Château Lafite annata 1900
8. La camera ottica nella Rocca di Fontanellato (Parma)
9. La Madonna del parto di Piero della Francesca a Monterchi
10. Le plaisir di Max Ophüls

Top ten di Bernardo