di Sergio Leone

 

Il capo della società Gulf and Western ha visto uno dei miei film in una sala parigina. Gli è piaciuto il mio stile, ma è stato soprattutto colpito dalla reazione del pubblico. Siccome faceva parte anche della direzione della Paramount, mi ha chiesto di realizzare un film con loro. Gli ho proposto Mano armata, ma anche lui voleva un western. Comunque sia, ha avuto un atteggiamento differente rispetto agli altri produttori. Mi avrebbe lasciato carta bianca. Non avrebbe nemmeno letto il copione. Così, ho ceduto. E per essere ancora più libero, ho fondato la mia casa di produzione, la Rafran. Mi mancava solo una cosa: trovare una storia.

Volevo essere certo di fare qualcosa di nuovo, per cui era fuori questione riprendere i miei vecchi sceneggiatori… Ho chiesto a Dario Argento e a Bernardo Bertolucci di darmi una mano a elaborare il soggetto. A quel punto, Dario Argento non aveva ancora diretto nessuna pellicola, era un critico cinematografico. Bertolucci aveva già realizzato alcuni film d’autore abbastanza interessanti. Lo conoscevo poco, ma sapevo che gli era molto piaciuto Il buono, il brutto, il cattivo. Ci siamo riuniti tutti e tre e abbiamo cominciato a farci venire delle idee. Poco dopo, Dario si è sentito un po’ escluso. Io e Bernardo continuavamo a sparare citazioni pescate fra i nostri film americani prediletti. E il tutto si è trasformato in una specie di partita di tennis tra me e lui. Argento è rimasto lì a seguire i nostri scambi, come uno spettatore. Dava buoni consigli e, soprattutto, era di buona compagnia. Devo precisare che in questa fase preparatoria di un soggetto non scrivo nulla. Sono solo chiacchiere nel corso delle quali faccio l’avvocato del diavolo. Non voglio fissare nulla. Ho paura di essere troppo soddisfatto nel rileggermi. Preferisco avere la libertà di rimettere tutto in discussione prima del tocco finale.

 

[In Sergio Leone, C’era una volta il cinema. I miei film, la mia vita, a cura di Noël Simsolo, traduzione di Massimiliano Matteri, Il Saggiatore 2018]