di Bernardo Bertolucci

 

Come erano salate le lacrime dei dodici-tredici anni.

Rivedendo Limelight (Luci della ribalta) qualche tempo fa ho ritrovato di nuovo questo sapore di sale nella commozione. È un film con cui io, ma non credo di essere il solo, ho un rapporto di sudditanza sentimentale. Quando a un certo punto Terry dice a Calvero di amarlo, è chiaro che mente sapendo di mentire, e lui sa che Terry sta mentendo, come lo sappiamo anche noi che vediamo il film.

È solo una grande e terribile messinscena.

E mentre assistiamo a questa prova d’affetto terminale — una ragazza di vent’anni che dice a un uomo che ha più di sessant’anni: “Sposiamoci”, “Io ti amo” —, tanta è la quantità dell’affetto quanta è la quantità dell’umiliazione che Calvero prova in quel momento. Perché lui sa che Terry lo sposerebbe non per amore, ma per pietà. Sono i sorrisi di Calvero che fanno piangere.

E nella scena finale del film, non è Calvero che muore, bensì Charlie Chaplin. Ancora una volta le lacrime sono quasi automatiche. Ma è una commozione più profonda, che va al di là delle lacrime, perché quello che copre Calvero non è un sudario, non è un lenzuolo bianco portato da un infermiere: è lo schermo.

Abbiamo visto nel film tanto teatro… teatro… teatro e quello che alla fine copre Calvero non è un sipario, è lo schermo del cinema. È come se Chaplin ci dicesse: “Ecco, qui Chaplin finisce. Calvero, io, devo morire perché Terry, la gioventù, possa fiorire”.

È il momento che conclude questo grande, sublime esorcismo che è Limelight.

 

[Intervento in Chaplin today: Luci della ribalta, a cura di Edgardo Cozarinsky, 2002, in Luci della ribalta, edizione in DVD MK2 Media San Paolo, Milano 2009; poi in Bernardo Bertolucci, La mia magnifica ossessione. Scritti, ricordi, interventi (1962-2010), a cura di Fabio Francione e Piero Spila, Garzanti 2010]