Giuseppe Bertolucci ci lasciava dodici anni fa, il 16 giugno 2012. Vogliamo ricordarlo con un suo progetto extra-filmico, una tappa importante della sua esistenza artistica, che ha anche segnato il suo debutto nell’opera lirica. La Traviata di Giuseppe Verdi, ultimo capolavoro della trilogia popolare realizzata per il Verdi Festival dal Teatro Regio di Parma nel 2001, venne proposta riprendendo la prima partitura del 6 marzo 1853, quella del “fiasco” veneziano.

Giuseppe Bertolucci, al tempo, volle incastonare la vicenda in un clima cupo e atemporale, con rimandi estetici agli Anni ‘50. Questa regia oscura e a tratti opprimente, completamente in linea col dramma verdiano, venne rafforzata dalle scene scure di Francesco Calcagnini, che scelse un fondale nero per tutti gli ambienti. Gli oggetti di scena – poltrone e cornici sontuose,  spesso lise e distrutte – vanno a riempire il palcoscenico come a simboleggiare il decadimento progressivo dei personaggi e dello status sociale e umano che rappresentano.


Giuseppe volle contrapporre al simbolico scenico anche due presenze umane dissonanti: le figure silenziose di un prestigiatore e di una bambina vestita di bianco nel tentativo di creare un contrasto magico tra attore e testimone, quasi come a riportare gli spettatori in una dimensione illusoria rispetto alla cruda realtà rappresentata.

La Traviata da lui re-immaginata, interpretata dall’Orchestra del Centenario e il Coro del Verdi Festival condotta da Carlo Rizzi, con protagonisti Darina Takova, Giuseppe Sabbatini e Vittorio Vitelli, è disponibile integralmente su RaiPlay. Regia televisiva a cura di Patrizia Carmine.