Festeggiamo il compleanno di Bernardo Bertolucci, nato il 16 marzo del 1941, con uno speciale sul papà poeta Attilio, la sua autobiografia in versi La camera da letto e la sua amata Casarola, borgo in provincia di Parma dove Bernardo e Giuseppe, insieme ai genitori Attilio e Ninetta, trascorsero le estati dell’infanzia.
Nello speciale trovate scritti di e su Bernardo, Attilio e Casarola, una lettera di Attilio ai figli Bernardo e Giuseppe, alcune clip e un backstage inedito del film La camera da letto di Stefano Consiglio e Francesco Dal Bosco, un capitolo del libro di Paolo Lagazzi La casa del poeta, un filmato realizzato negli anni quaranta a Casarola da Antonio Marchi, un corto e una serie di foto realizzati da Lorenzo Castore.
IL PADRE POETA
di Bernardo Bertolucci
Mio padre, che è morto quasi a novant’anni, e mia madre, che vive ancora, hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia vita. Il nostro legame è stato sempre così forte, così intenso che la mia infanzia, quella specie di paradiso che è stata la mia infanzia, si è dilatata nel tempo, prolungata in una dimensione quasi innaturale.
Ho imparato a leggere con le poesie di mio padre. Una di esse, La rosa bianca, dedicata a mia madre, colpì in maniera particolare la mia immaginazione. Dopo aver letto questa poesia, andai a cercare la rosa nel giardino di casa nostra, e la trovai: mio padre ha sempre parlato del microcosmo della casa di campagna dove abbiamo abitato finché non ci siamo trasferiti a Roma, quando avevo dodici anni. Nelle sue poesie potevo ritrovare le luci, i paesaggi, gli oggetti che conoscevo tanto bene per il fatto di averli visti nella realtà. Ciò mi ha consentito di percepire fin da giovane quanta poesia ci sia nelle cose che ci circondano, anche se spesso non ce ne rendiamo conto.
La mia infanzia, come dicevo, si è prolungata a dismisura, soprattutto per via del rapporto così forte, così stretto, per certi versi quasi “malato”, con mio padre. E si è veramente conclusa soltanto con la sua morte, senza concedermi la possibilità di vivere la giovinezza, l’età adulta, la piena maturità. Di fatto sono passato, senza soluzione di continuità, dall’infanzia, o, al limite, dall’adolescenza, alla vecchiezza. Appunto, a causa della poesia di mio padre, ho vissuto in una mistificazione: quella meravigliosa mistificazione che è la poesia.
[Trascrizione di Aelfric Bianchi, in “La valle dell’Eden”, nn. 10-11, a cura di Paolo Bertetto e Franco Prono, Lindau, Torino 2002. Incontro con gli studenti del DAMS di Torino, poi in Bernardo Bertolucci, La mia magnifica ossessione. Scritti, ricordi, interventi (1962-2010), a cura di Fabio Francione e Piero Spila, Garzanti 2010]
UNA POESIA
DI BERNARDO
Infanzia a Casarola
Bernardo Bertolucci insieme al padre Attilio nelle riprese di Antonio Marchi a Casarola (Parma), durante la guerra. Secondo Bertolucci fu lo stesso Marchi ad avvicinarlo al cinema (16mm, Fondo Antonio Marchi).
Sequenza incorporata in Come un canto. Appunti e immagini di un regista dimenticato prodotto da Home Movies e Kinè.
NOVE POESIE
SU GIUSEPPE
Una lettera di Attilio ai figli
Attilio Bertolucci scrive questa lettera ai figli Bernardo e Giuseppe nel luglio del 1969, mentre a Casarola lavorava alla raccolta di poesie Viaggio d’inverno, pubblicata da Garzanti nel 1971.
IL TESTO
DELLA LETTERA
Compagni di giochi
di Marta Simonazzi
Sono stata la prima attrice di Bernardo nel suo primo film La teleferica, era l’estate del ’56 e lui sedicenne iniziava a guardare attraverso la serratura. Era di mio padre Ugo la 16 mm. che aveva portato dal Venezuela e che prestò a Bernardo insistente e caparbio per averla. Lui e Giuseppe stesero la sceneggiatura e io e mia sorella Ninì eravamo insieme a Giuseppe i protagonisti. Abbiamo trascorso tutta quell’estate in sopralluoghi, prove e riprove di scene e inquadrature. A noi ragazzi sembrava un gioco fantasioso, divertente e inusuale, ma per Bernardo era qualcosa di più. Iniziava la sua scintilla poetico-cinematografica.
Tre ragazzi fuggiti da casa dopo pranzo quando tutti dormono perché è luglio e fa caldo, si perdono in un bosco di castagni secolari tra felci e massi caduti dal Groppo Sovrano, bosco che Bernardo riprenderà poi nel film La tragedia di un uomo ridicolo con Ugo Tognazzi. Mentre la più piccola prega davanti ad una maestà, sperando in un segno o in un miracolo, io e Giuseppe cerchiamo tra i rovi e i castagni indizi per ritrovare la via del ritorno. Finalmente si presenta davanti ai nostri occhi una vecchia teleferica abbandonata da chissà quanto, nascosta tra cataste di legna e ripercorrendo la sua traiettoria riusciamo a ritornare a casa senza che nessuno si accorga di nulla.
Questa pellicola segnerà in futuro profondamente Bernardo a cui suo padre Attilio dedicò una bellissima poesia intitolata proprio la teleferica presagendo già la sua vocazione.
E così recitano alcuni versi di quella poesia:
L’ultima inquadratura è dall’alto
di un ramo di cerro, l’occhio della macchina
ricerca inquieto i tuoi occhi inquieti,
guida sconfitta,
mentre già le bambine si distraggono,
la più grande delle sorelle intreccia
un cappello di foglie sui capelli
della più piccola, l’operatore-poeta
se ne innamora anche lui, pensa all’effetto
che ne ricaverà quando avvizzite
le foglie finiranno sulla polvere
rosata dei crepuscolo freddo
sulla via del ritorno, scordati
il dolore precoce, la pupilla delusa,
il tema umano della novelletta.
Bernardo rimarrà sempre nel mio cuore come il compagno di giochi nelle calde estati a Casarola, per noi un paese lontano dal mondo, ricco di ricordi e di spensieratezza giovanile. Mia madre era prima cugina di Attilio, erano nati lo stesso mese e lo stesso anno, erano molto legati affettivamente e ci si rivedeva tutte le estati da giugno ad ottobre, noi da Parma e loro da Roma.
Questo periodo trascorreva con quotidiani incontri per passeggiate alla ricerca di posti e luoghi sconosciuti e inusuali, spesso difficili da raggiungere, ma proprio per questo molto stimolanti. Gli indiani e i cow-boy erano i nostri giochi preferiti, facevamo vestiti e copricapi con le foglie di castagno intrecciati, oppure bagni e pescate nelle acque gelide del torrente Bratica. Lunghe camminate verso il monte Navert insieme ai ragazzi del paese a cui ci univamo con grande piacere ed entusiasmo senza sentire distinzione di classe e di cultura.
Casarola è stato il suo più grande rimpianto, il non essere mai più potuto tornare, non solo per rivedere il paese, ma anche la bella casa degli avi in sasso con i tetti di ardesia, casa che ci ha visto prima bambini e poi ragazzi spensierati con tanti sogni, casa dove c’è un po’ di tutto, famiglia, affetti, ricordi e poesia.
CASAROLA
POETICA
La camera da letto
Le seguenti clip e il backstage sono del bel film La camera da letto realizzato nel 1991 a Casarola da Stefano Consiglio e Francesco Dal Bosco e prodotto da Pietro Ricciardelli.
Nel film, Attilio Bertolucci legge integralmente il suo romanzo in versi La camera da letto. I tre canti che seguono sono l’XI (Il bambino che va a scuola a sei anni), il XLI (Dall’altro versante) e il XLV (Il taglio dei riccioli). Ogni canto è preceduto da una sinossi in prosa letta da Laura Morante, unica aggiunta al libro pubblicato nel 1988 da Garzanti.
IL CINEMATOGRAFO
ARRIVA A CASAROLA
Verso Casarola
di Paolo Lagazzi
Tornare a Casarola era sempre, per me, un’avventura. Già mettermi in strada e ricominciare a vedere, guidando, la periferia di Parma verso le colline di Langhirano e Torrechiara, era ben più che un’emozione: era lo strappo dallo spirito stesso di gravità e lo schiudersi di un cammino che mi avrebbe portato “più sù più sù”, in un Appennino profondo, in un mondo di sortilegi tanto intensi e concreti quanto lievi, misteriosi e impalpabili. Se Attilio mi aveva sempre insegnato che chiunque si affidi alla strada della poesia dev’essere in grado di assecondare le curve del proprio cuore, a sua volta la strada serpeggiante per Casarola aveva il potere di placare il mio battito cardiaco, d’imprimergli un ritmo giusto, naturale e quieto. Le extrasistoli, di cui la poesia di Bertolucci pullula, mi avrebbero attraversato se mai più tardi, a “Casarola raggiunta”, come una specie di musica affiorante da una pace segnata dal fuoco segreto della passione.
Se ripenso oggi a tutto questo, è come se dalla palude della mia stanchezza, e della stanchezza quasi infinita di questo inizio di nuovo millennio, rinascesse in me un invito potente a resistere, a rimettermi in gioco. Come vorrei tornare a Casarola sapendo che Attilio è ancora là ad aspettarmi! Eppure, in un certo senso, lui è ancora, davvero, là, invisibile ma non meno vivo, e nulla è andato perduto, se mi basta riaccostarmi alle sue poesie un giorno qualunque per ritrovare la luce di quegli anni.
Fantasticando su una delle mie tante, tante escursioni di allora da Parma a Casarola, mi vedo arrivare, dopo la Langhirano opulenta di prosciuttifici, alla Torrechiara del torrito castello quattrocentesco di Pier Maria Rossi e al bivio tra Monchio e Corniglio scegliendo la via per quest’ultima (quante soglie, quante svolte, quante diramazioni di sentieri si affacciano tra le visioni di Bertolucci!); mi vedo procedere oltre le deviazioni per Villula e Agna e per Ballone, Belàsola e Montebello, attraversando il ponte a strapiombo sul Bràtica; mi vedo entrare a Corniglio “regina della mezza montagna” e salire ancora più in alto, scartando la via per Bosco e imboccando la “riviera dell’Appennino”, la fantastica stradina tra faggi e castagni che, costeggiando i dirupi western del Groppo Soprano (enormi massi rocciosi in un bilico precario, leggendario) e poi evitando il ponte in rovina dopo Riana, superato di nuovo il Bràtica su un ponticello aggiunto, arriva infine a quel cartello su cui il nome “Casarola” brilla per me come una rivelazione o un’epifania.
Poco oltre l’ultima curva, ecco la prima casa del paese, la locanda Tramaloni, quella cui Attilio ha dedicato L’albergo e Ancora l’albergo; ma il “centro” è più in là: dopo due o trecento metri ecco la piazzetta dove sosta l’unica corriera che collega Casarola a Parma, e tutt’intorno disseminate verso il basso e verso l’alto, le case con i tetti d’ardesia, la chiesetta col campanile, il piccolo negozio-osteria della Gianna e la trattoria dell’Argenta…
Ricordo bene il senso di strazio, e insieme di assoluto incanto, che m’investì al primo affacciarmi a quella realtà. Mi sembrava davvero (dopo un’ora e mezzo di macchina da Parma) di essere stato sbalzato sulle Ande: insieme all’aria frizzante dei mille metri avvertivo aspro e pungente, come un fumo in fuga da un cumulo di cenere, di sterco o di erba secca, quello stesso “odore” di povertà che Pasolini aveva fiutato nei suoi viaggi nel Terzo Mondo, e che intride fino al midollo La Guinea, una delle sue liriche più intense, scritta proprio dopo un incontro con Bertolucci a Casarola, e senza dubbio concepita in dialogo con quello spirito, con quel sentimento dell’inerme, sacra nudità delle cose che accende tanti testi di Attilio.
Alle volte è dentro di noi qualcosa
(che tu sai bene, perché è la poesia)
qualcosa di buio in cui si fa luminosa
la vita: un pianto interno, una nostalgia
gonfia di asciutte, pure lacrime.
Camminando per questa poverissima via
di Casarola, destinata al buio, agli acri
crepuscoli dei cristiani inverni,
ecco farsi, in quel pianto, sacri
i più comuni, i più inutili, i più inermi
aspetti della vita: quattro case
di pietra di montagna, con gli interni
neri di sterile miseria – una frase
sola sospesa nella triste aria,
secco odore di stalla, sulla base
del gelo mai estinto – e, onoraria,
timida, l’estate: l’estate, con i corpi
sublimi dei castagni, qui fitti, là rari,
disposti sulle chine – come storpi
o giganti – dalla sola Bellezza.
(…)
[in Paolo Lagazzi, La casa del poeta, Garzanti, Milano 2008]
BERNARDO B.
SU PAOLO L.
Casa Bertolucci
di Simone Cagozzi
Dove sei?
Chi c’è?
Cosa vedi?
Com’è la luce oggi? e i castagni?
Queste sono le domande che Bernardo mi faceva quando, anticipando costantemente la mia chiamata, mi telefonava a Casarola dopo un qualsiasi evento che organizzavamo, che fosse una lettura poetica, una presentazione di un libro, un workshop di architettura o semplicemente la visita alla loro casa.
Casa Bertolucci a Casarola è nota a tutti come la Ca’ d’Barnard “la casa di Bernardo” e deve il suo nome al padre di Attilio il capostipite a Casarola della dinastia dei Bertolucci.
“arrivavamo alla nostra casa verso sera e davanti agli occhi mi si apriva la visione di un paese favoloso, staccato non solo dalla pianura, ma dal mondo”
così Attilio ne descriveva l’arrivo in un’ intervista di Valerio Varesi per la Gazzetta di Parma nel 1989.
Casa Bertolucci da quasi vent’anni è diventata un vero e proprio punto di riferimento per un intero territorio, meta di numerosissime visite guidate, teatro di presentazioni di libri, dibattiti e approfondimenti culturali e musicali, set naturale per letture e incontri poetici.
Nel 2015 dopo aver lavorato a fianco della Soprintendenza delle Belle Arti e Paesaggio di Parma e Piacenza siamo riusciti ad ottenerne la tutela di questa casa che risulta essere il primo e unico esempio nel nostro territorio di tutela storico-relazionale, per la prima volta viene tutelata non una casa natale, ma un luogo privilegiato della vita e fonte primaria della ispirazione poetica per Attilio e poi anche per Bernardo e Giuseppe.
Bernardo scrisse poi in seguito a chi si occupò in prima persona della tutela “scopro qualcuno che ama quel luogo quanto noi che lo abbiamo scoperto nella nostra infanzia”.
Con il tempo noi del Comitato Pro Casarola – tutori della memoria bertolucciana sull’Appennino – ne siamo diventati orgogliosamente i custodi e parafrasando Bernardo che a sua volta citava il film di Douglas Sirk è diventata la nostra magnifica ossessione.
Questa casa del’ 700 che oggi è vuota di persone, ma piena di ricordi, che ogni angolo di essa ed ogni oggetto che la riempie ci parla di un padre poeta e due figli registi, una casa ed un piccolo borgo arroccato sui mille metri dell’Appennino parmense che sono stati la culla e l’origine non solo di così tanta poesia, ma anche di amore e bellezza, bellezza che Bernardo conosceva così bene perché di bellezza viveva e che quella bellezza sapeva restituire agli altri.
Ed è proprio grazie a loro che a Casarola sono passati personaggi importantissimi del panorama culturale italiano e internazionale, da Roberto Benigni a Pier Paolo Pasolini, da Giorgio Bassani ad Enzo Siciliano, e poi attori, registi, critici, poeti, letterati. Amici intimi della famiglia Bertolucci che con il tempo sono ritornati, sempre con entusiasmo e affetto diventando anche amici di Casarola.
D’altronde come Bernardo ha più volte detto, Casarola è l’origine di tutto, parte tutto da lì e proprio da Casarola partono i miei primi ricordi di Bernardo che inevitabilmente si fondono con quelli di suo padre Attilio e di suo fratello Giuseppe.
Bernardo è stato per me un cugino che non sono mai riuscito a vivere come semplice famigliare, che ho imparato a conoscere meglio da adulto e che nonostante tutto mi incuteva sempre e costantemente una certa soggezione.
Bernardo me lo ricordo bene a Casarola, con la canna da pesca e gli stivali di gomma che si confondeva con mirabile destrezza come uno dei tanti pescatori che si muovono lungo gli impervi torrenti di montagna. Me lo ricordo con Attilio e Ninetta insieme a Clare, Giuseppe e Lucilla nella nostra casa di Casarola, luogo che Bernardo frequentava già da piccolissimo.
Poi Bernardo a Casarola purtroppo non è più venuto e allora sono incominciati i miei viaggi a Roma, nella sua casa di Trastevere. Viaggi sempre accompagnati da un vassoio di tortelli di zucca, perché gli ricordavano Ninetta e con me quel carico di timore e preoccupazione e la certezza una volta arrivato di essere interrogato con la consapevolezza di non poter fallire o perlomeno di sbagliare il meno possibile!
Bernardo ascoltava con attenzione, chiedeva e suggeriva in un continuo scambio e ricambio di impressioni, tra suggestioni e progetti concreti.
Adesso ripenso con infinita tenerezza alle mie ansie quando dovevo parlare con lui del futuro della Ca’ d’Barnard o riguardo agli imminenti progetti che riguardavano la nostra Casarola tra cui per ultimo al suo coinvolgimento in prima persona a Parma2020-Capitale della Cultura e la volontà che Casarola – il paese che tutti quanti credon fòla – ne facesse parte.
Ripenso a quello che abbiamo condiviso, a quello che stava nascendo e che si è interrotto così improvvisamente.
Ripenso al fatto che le ansie mi erano anche un po’ passate perché eravamo riusciti a trovare il nostro registro.
Ripenso al suo insegnamento sempre rivoluzionario e piacevolmente destabilizzante, così personale e mai convenzionale.
E ripenso a quelle domande che mi faceva al telefono, lui a Roma ed io a Casarola ad essere in qualche modo una sua appendice oculare e olfattiva appenninica
dove sei?
chi c’è?
cosa vedi?
com’è la luce oggi? e i castagni?
ecco, quelle stesse domande, oggi avrei voglia di farle io a te
buon compleanno Bernardo
Ritratto di una casa
Casarola è un cortometraggio del 2014 diretto dal fotografo e caro amico di Bernardo Lorenzo Castore.
Dell’anno precedente (2013) è l’omonima serie di foto realizzate da Castore, come parte del più ampio lavoro Ultimo domicilio, pubblicato nel 2015 da L’Artiere Edizioni.