LA COMMARE SECCA 1962 – 2022
Per festeggiare i 60 anni de La commare secca, pubblichiamo alcuni materiali stampa originali.
Film d’esordio di Bernardo Bertolucci, tratto da un soggetto di Pier Paolo Pasolini e sceneggiato da Sergio Citti, La commare secca fu presentato alla 23ª edizione della Mostra di Venezia e uscì nelle sale italiane il 3 novembre 1962.
LA SCHEDA DEL FILM
Intervista col regista a cura dell’Ufficio Stampa
Ho girato le prime inquadrature de “La commare secca” in un bosco di grandi eucalipti, dentro e fuori da grotte di tufo, con la tentazione di panoramicare sulle teste dei miei personaggi a scoprire magicamente i profili dei palazzoni dell’EUR. Mi tenevo per me il motivo di quella scelta, era un segreto persino per il produttore.
Chissà se per paura di affrontare direttamente le strade senza storia della periferia, chissà se per “cerimoniale”, volevo ricadere una altra volta nelle regole e nell’emozione di un gioco interrotto vari anni fa, e precisamente nell’estate del ‘56. Infatti ho scoperto il cinema per gioco, e anche allora in un bosco. Se non erano eucalipti erano castagni immensi dell’Appennino parmense, e ricordo che dietro i primi piani dei miei attori c’erano sempre rami e foglie, in una perpetua luce dolce, impressionistica. Facevo tutto da solo, scenario, regia, fotografia, montaggio, ecc., con lo stesso amore che un meccanichetto di quindici anni regala agli ingranaggi della sua moto. Credo di aver sentito allora per la prima volta, oscuramente, qualcosa nel mezzo cinematografico di familiare, se non di preesistente in me, e cioè la possibilità di usare le immagini per fare della poesia, fotografare in versi. Quell’impressione ora si è trasformata in una coscienza critica: è il rapporto profondo tra cinema e poesia, montare inquadrature in una sequenza cinematografica è come infilare parole nella composizione di un verso. Ricordo che le didascalie di quella prima, favolosa avventura di bambini in un bosco, le avevo scritte in versi, addirittura in rima.
Rapporto tra cinema e poesia: è un discorso molto semplice che si riduce a questo: ho girato “La commare secca” del tutto disarmato tecnicamente, mentre l’unico bagaglio stilistico, e perché no, tecnico, di cui mi sono servito e di cui sentivo veramente la necessità, era quello poetico, lo stile dello scrivere versi.
Aveva avuto grande importanza per la mia formazione avere partecipato come aiuto-regista al primo film di Pier Paolo Pasolini “Accattone”. Ma ne avevo ricavato un’esperienza non tanto cinematografica quanto umana, di vita, che credo sia contata molto di più, e almeno spero che conterà, di qualsiasi iniziazione alla tecnica del cinema. Era Pier Paolo che di fronte ai “napoletani” e agli amici di Accattone in molle agguato al baretto, di fronte alle costruzioni lunari della Borgata Gordiani scopriva l’uso del carrello, di quelle sue lenti panoramiche sui primi piani, la scabrezza di una certa recitazione. Io assistevo con commozione alle invenzioni di Pier Paolo, mi sembrava, alle proiezioni giornaliere, di vivere le origini del cinema, di assistere per primo alla prima carrellata, alla prima panoramica. Tutto questo era poetico ed emozionante. Ma era Pasolini che scriveva.
Ho parlato di Pasolini per parlare di me. Infatti il meccanismo della nascita è sempre uguale dall’inizio del mondo. Poi ognuno prende coscienza, e in questo caso, si crea il suo stile. Così a distanza di un anno, anch’io ho provato le stesse emozioni, la stessa sensazione di scoperta, e quindi la stessa meraviglia di fronte al mezzo nuovo.
Il soggetto de “La commare secca” è di Pasolini: lo abbiamo sceneggiato Sergio Citti ed io, che ancora non sapevo di doverlo dirigere. È stata una gara tra noi due a correggere vicendevolmente lui la mia tenerezza di fronte ai personaggi, io la sua antica saggezza che lo porta a sorridere.
Ma ancora non avevo bene individuato il vero filo conduttore, il significato di quella storia così ricca, varia, e in fondo sfuggente. Ci sono arrivato solo, per impegno poetico più che logico, quando mi hanno proposto di farne la regia. La prima sensazione di cosa doveva essere “La commare secca” è venuta dietro un’idea vaga come una nuvola, e così di nuvola in nuvola, se mi si perdona l’immagine, tutto mi si è chiarito. Il filo conduttore del film è infatti anch’esso evanescente come una nuvola: una povera miserabile prostituta viene uccisa una notte sulle rive del Tevere. La ruota della burocrazia, della polizia si mette a girare, ma proprio da ruota, gira su se stessa. Si ricerca l’assassino, la persona interessa più del motivo vero. Ed ogni indiziato espone il proprio alibi, che è una storia. L’assassino, che ha ucciso per poche centinaia di lire, viene arrestato e tutto finisce lì. Il contrappunto che per me doveva legare ogni dente di questo giro a vuoto non poteva essere che lei, la morta. Tornare, con un arbitrio narrativo, saltando cioè dal racconto all’indiziato, a vedere la donna da vicino, prima che venga assassinata. Vederla magari in camera sua, mentre a letto, con gli occhi aperti, ascolta il rumore dei tuoni, seguirla nei suoi movimenti, nei suoi gesti umili, precisi, intorno alla tazzina del caffè e magari anche intorno alle forcine dei capelli, e davanti allo specchio, mentre tira un filo di rosso sulle sue labbra. Visitare quasi, la sua figura, i suoi vestiti. Il senso del dramma è proprio in questo procedere cieco delle ore che travolgono senza che ce ne accorgiamo il ritmo delle giornate, il rito quotidiano che pare eterno e indistruttibile. Il dramma dell’uomo non si chiama destino ma ineluttabilità del corso del tempo.
Bernardo Bertolucci
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Bernardo Bertolucci è il più giovane regista del cinema italiano. Ha ventun’anni ed è studente del secondo anno della facoltà di lettere. È nato a Parma ed è figlio del poeta Attilio Bertolucci. È cresciuto in un ambiente ricco di fermenti letterari e a dodici anni le sue poesie apparivano già stampate su diverse riviste letterarie. Ma la sua grande passione era il cinema. Per la licenza ginnasiale si fece regalare in premio dal padre una macchina da presa 16mm e con questa girò i suoi primi filmetti nelle campagne attorno a Parma. Venuto a Roma per completare gli studi, divenne subito un “topo di cineteca”. Nell’appartamento di fianco al suo abitava Pier Paolo Pasolini, col quale il giovane Bertolucci si intratteneva spesso a discutere di cinema e di letteratura. Quando Pasolini realizzò “Accattone” chiese a Bertolucci di fare il suo assistente. Così Bernardo Bertolucci fece il suo ingresso nel cinema militante. Ma Bertolucci da questa esperienza ha ritenuto di poter prendere le mosse per esprimere cinematograficamente un suo proprio mondo poetico, che sotto molti aspetti appare un superamento di quello di Pasolini.