La sera del 3 agosto, la Milanesiana ha fatto tappa a Parma per una serata dedicata a Baudelaire e Bertolucci. Sul palco del Parco Falcone Borsellino di Parma, insieme a Elisabetta Sgarbi, c’erano Michel Houellebecq, Laura Morante, Paolo di Paolo, Tiziana Lo Porto, Ermanna Montanari e Michele Guerra.

Pubblichiamo il testo scritto e letto da Tiziana Lo Porto, su Clare e Bernardo, e ringraziamo Elisabetta Sgarbi.

Bernardo Bertolucci e Clare Peploe

Due registi in una casa

di Tiziana Lo Porto

 

Anni fa ho portato a cena a casa di Clare e Bernardo un amico. L’amico era un attore americano, a Roma di passaggio per le riprese di un film. Quando l’ho invitato a venire con me a cena a casa di Bernardo Bertolucci, entusiasta mi ha domandato se potevamo andare lì un po’ prima perché avrebbe voluto intervistarlo. Durante quell’intervista l’attore americano gli ha chiesto qualcosa a proposito degli adolescenti nei suoi film, e Bernardo ha risposto che il motivo per cui amava così tanto averne era che nel tempo delle riprese li vedeva crescere, gli adolescenti diventavano un po’ più alti e il cinema sembrava più come la vita. Di come sia possibile rendere il cinema come la vita, o (se non si è registi) la vita come il cinema, mi ritrovo ad avere adesso una dozzina di anni di esperienza alle spalle. Circa dodici anni durante i quali ho frequentato Clare Peploe e Bernardo Bertolucci, nella loro casa di via della Lungara a Roma. Li ho frequentati da amica, come altri di un circolo di persone così privilegiate da cenare spesso da loro, e subito dopo guardare un film su uno schermo gigantesco che occupa un’intera parete di un grande soggiorno. Prima ho frequentato Clare e Bernardo insieme, poi Clare in assenza di Bernardo, che più che assente in quella casa era ed è tuttora acutamente presente, come nel verso del padre Attilio che dal novembre del 2018 è diventato la poesia che più ho citato e sentito citare. Assenza più acuta presenza.

Casa di Clare e Bernardo era piena di cinema. C’erano gli oggetti, certo, i premi, le foto, le decine di sceneggiature, mai lì per ostentare qualcosa di più della presenza di due registi in una casa. C’erano le centinaia di dvd di film incredibili, pronti a colmare le mie lacune insieme a un entusiasta esclamare, da parte dell’una o dell’altro: “Non lo hai visto? Vediamolo stasera!” C’erano soprattutto loro due, Clare e Bernardo, talmente affascinati dalle possibilità cinematografiche dei fatti della vita da rendere necessario che tutto ciò che raccontavo dovesse avere narrazione e immaginazione, e in mezzo tutti gli spazi vuoti che avrebbero potuto colmare loro da registi. La gioia maggiore per me entrando in quella casa era avere qualcosa da raccontare, non per parlare di me, di fatto non erano quasi mai storie che parlavano di me, ma per vedere accendersi i loro immaginari, sapendo che oltre quello che stavo raccontando loro due vedevano dell’altro, e ogni volta stupirmi di questo miracolo in atto. Era da loro che andavo di ritorno dai miei viaggi, lunghissimi e oltreoceano a volte, di un fine settimana e in Sicilia altre. In dono avevo sempre fumetti per Bernardo, libri per Clare, ogni tanto fiori. Se il volo era serale e facevo in tempo a essere lì per cena, la valigia veniva con me e restava nell’ingresso, quasi un oggetto di scena, pronta a essere vista e a lasciare che qualcuno si domandasse: da dove arriva? dove starà andando?

Dopo la morte di Bernardo, insieme a un loro amato amico di famiglia, Fabien Gerard, poi diventato anche amico mio, ho messo ordine nel suo studio. A chiedermelo era stata Clare, e giorni fa, tornando a casa loro nella presenza-assenza di entrambi, mi sono chiesta se non lo avesse fatto per la stessa ragione per cui in tutti quegli anni mi ero sentita in dovere di raccontare storie. Mi aveva consegnato una stanza piena di narrazione, immaginazione e spazi vuoti. Mi sono ritrovata così, prima con Fabien, poi da sola, a leggere lettere e quaderni, a ritrovare foto in posti inaspettati, a ricostruire cronologie impossibili per dare una possibile sequenzialità alle tracce di due vite, quelle di Clare e Bernardo, che mai film o libro sarà in grado di catturare. Più che un lavoro di archivio sembrava pura archeologia. E a ogni ritrovamento ritenuto più degno di nota di altri, avevo preso l’abitudine di andare da Clare e mostrarglielo, aspettando di sentire la storia. Non ce lo siamo mai detto, ma per noi era diventato come un rito, durante il quale non ho mai capito del tutto chi delle due fosse felice del ritrovamento e chi della gioia dell’altra.

Durante il primo lockdown, quello severo dove c’erano state proibite anche le passeggiate sotto casa, Clare era a Londra e così mi sono ritrovata ad andare spesso in via della Lungara a occuparmi di Uva e Maya, i loro due gatti. Poco più di un anno dopo, il tempo passato in quellan grande casa vuota si è rivelato sacro quando inaspettatamente è scomparsa Clare. Sono tornata lì qualche giorno dopo la sua morte, ma per il mio corpo era memoria di un tempo già vissuto, un tempo dentro al quale Clare e Bernardo erano gli spazi vuoti.

Le rare volte che li sogno sono entrambi in viaggio, su transatlantici o in piccole isole senza identità geografiche. A volte sono insieme, altre volte c’è solo uno dei due. Non parlano mai, non mi dicono niente, sanno più cose di quante ne so io. Eppure.