Bernardo Bertolucci ci lasciava esattamente sei anni fa “portandosi via il Novecento”, come ha ricordato più volte Niccolò Ammaniti. Il 2024 ha però visto, soprattutto, i sessant’anni di Prima della rivoluzione, il film che ha acceso i riflettori della critica internazionale sul giovane Bertolucci. È nel segno di questa celebrazione che vogliamo ricordare Bernardo, con uno scritto inedito di Paolo Mereghetti su un film ancora attualissimo e destinato a restare intramontabile come il suo autore.
Bertolucci. Prima della rivoluzione
Vedere oggi Prima della Rivoluzione significa fare i conti con una stagione della vita, quando la giovinezza del cinema italiano prendeva le distanze dai suoi maestri imponendosi, pur nella sua rivendicata ingenuità, come uno dei film italiani più sottilmente inquietanti degli anni Sessanta.
Che sia un film ingenuo Prima della rivoluzione lo mette in mostra fin da subito, dalla citazione di Tayllerand in esergo (che il regista avrebbe voluto mettere alla fine, per rimarcare maggiormente il suo valore insieme ironico e antifrastico: «ma le cose chiarissime non mi piacciono tanto, così ho scelto di piazzarla all’inizio e nessun critico italiano l’ha capito»), dalla voce fuori campo che se la prende con la propria dipendenza psicologica («Esistevo perché voi esistevate») con l’incombenza della religione e dei suoi riti («Ecco, mi muovo tra figure fuori dalla Storia, remote, figure in cui preesiste solo la chiesa, in cui il cattolicesimo ha soffocato ogni desiderio di libertà!». E ancora: «Sono i miei simili, i borghesi di Parma, quelli della messa di mezzogiorno. Mi viene in mente se sono mai nati»). Come se l’autore volesse mettere le mani avanti, spiegare subito chi è e dove si trova, con un autodafé non richiesto. Ma altrettanto ingenuo sono le dichiarazioni d’amore cinematografico o la chiacchiera al bar con l’amico che esce di scena con una battuta («Non si può mica vivere senza Rossellini») non a caso diventata una specie di citazione obbligata, finita su una spilla da far vedere nelle occasioni mondane.
Eppure… eppure, in questa specie di labirinto di memorie e immagini, il giovane Bertolucci prende coscienza dell’impossibile sintesi tra le sue radici borghesi e l’ambizione rivoluzionaria mentre la macchina da presa intreccia passato e presente con l’energia degli entusiasti. Per farlo usa la storia di un innamoramento ai limiti dell’incesto, affronta l’analisi politica delle contradizioni che si annodano all’interno della borghesia ma soprattutto mette in scena il percorso personalissimo di come certezze e convinzioni entrino pian piano in crisi, per forza di vita più che per forza di idee. E la morte/suicidio di Agostino, che non trova altra via per liberarsi dalla propria condizione, finisce per diventare la più radicale delle anticipazioni, quella della resa (e metaforicamente della morte) che il protagonista compirà alla fine del film con il matrimonio.
Quando Prima della rivoluzione uscì, nel 1964, fu applaudito alla Semaine de la critique di Cannes, dove vinse il premio della giovane critica, e appassionò i cinefili che poi avrebbero dato vita alla rivista Cinema&Film, ma sconcertò molti critici italiani (che consigliarono al giovane Bertolucci di tornare a occuparsi di poesia) e naturalmente non conquistò il pubblico. Eppure, a quasi cinquant’anni di distanza, Prima della rivoluzione ci appare uno dei film italiani più lucidamente inquietanti del periodo nella sua disperata previsione (e ammissione) di sconfitta e soprattutto uno dei più lucidamente anticipatori di quella incapacità di coerenza ideale (e «rivoluzionaria») di cui ancora oggi soffriamo le conseguenze.
Paolo Mereghetti per la Fondazione Bernardo Bertolucci, Novembre 2024