Mercoledì 14 luglio i ragazzi del Cinema America proietteranno all’Arena di San Cosimato, a Roma, Rough Magic, secondo lungometraggio di Clare Peploe. Per ricordare Clare pubblichiamo un’intervista sul film rilasciata nel maggio del 1997 a Brandon Wilson, della rivista della UCLA Daily Bruin, che ringraziamo.

Un'intervista a Clare Peploe

di Brandon Wilson

 

Come Quentin Tarantino e Robert Rodriguez ci hanno mostrato quando è uscito il loro film From Dusk ‘Til Dawn, mescolare i generi può essere complicato. Il clamoroso fallimento di quel film sottolinea quella che molti ritengono una regola pragmatica e inviolabile: i generi non sono fatti per essere mescolati. Ma la regista Clare Peploe non si lascia scoraggiare dalla regola. Con il suo ultimo film Rough Magic, Peploe intreccia una storia utilizzando elementi e tropi del film noir, del realismo magico e della commedia. Di fatto, a convincere la regista a girare il film è stata la qualità postmoderna della storia. “Il romanzo è ambientato in Messico, nel 1949, in quel periodo singolare che ha seguito la guerra civile spagnola, durante il quale molti personaggi interessanti erano in Messico”, dice Peploe. “Quello che ho trovato fantastico è che il film mi ha permesso di lavorare con così tante cose dell’epoca senza fare un remake di quel periodo, che alla fine sarebbe risultato noioso. L’umorismo in un certo senso mette in ombra il genere. L’idea era quella di raccontare questo incredibile personaggio femminile che è l’assistente di un mago, un mago che esegue la magia occidentale, un’illusionista, che poi diventa vera magia. E il realismo magico era un bel modo di mostrare culture diverse che si mescolavano. Ho sempre viaggiato, sin da quando ero bambina, e trovo che andare in posti con una cultura davvero diversa sia un po’ come mescolare i generi: arrivi con i tuoi codici di comportamento, che sono diversissimi rispetto a quelli che trovi. E a interessarmi è proprio il momento in cui questi codici si mescolano. Ecco perché ho scelto il libro”.

La storia segue il viaggio di Myra Shumway (interpretata da Bridget Fonda), un’audace assistente di un mago che si ritrova in fuga quando le cose si mettono male con il fidanzato. Myra va in Messico e Alex Ross (interpretato da Russell Crowe) viene assunto per trovare la magica Miss Shumway. Il film è basato sul romanzo Miss Shumway Waves a Wand di James Hadley Chase, un libro regalato a Peploe dalla sorella minore Chloe. Peploe ha adorato il libro e si è ritrovata nel crescente culto degli ammiratori di Chase. “Chase è morto, è morto negli anni ’70”, racconta la regista. “Ha scritto molti libri, alcuni con nomi diversi, alcuni sono stati trasformati in film. È uno di quegli autori che sono stati riscoperti in Francia – come spesso fanno i francesi quando adottano uno scrittore. Uno dei motivi per cui ho un finanziamento francese è che il libro lì è molto conosciuto, mentre è fuori catalogo in Inghilterra, fuori catalogo negli Stati Uniti”. Peploe conosce la Francia, l’Inghilterra e gran parte del mondo grazie alla sua insolita educazione ricevuta da genitori esteti, amanti dell’arte e giramondo (suo padre è inglese, sua madre è italo-americana). Nata in Tanzania nel 1942, Peploe parlava swahili prima di imparare l’inglese, il francese o l’italiano (tutte lingue che ora parla perfettamente). È la più grande di tre, tra cui suo fratello Mark (uno scrittore) e la suddetta sorella Chloe (una ricercatrice). Descrive la madre come un’amante delle arti, che non ammetteva nulla nel suo mondo che fosse successivo a Proust.

Sebbene sia in debito con la sua educazione piuttosto bohémien/classica, Clare è stata attratta dal cinema in parte perché era un mezzo pressoché ignorato dai suoi genitori. “Uno dei motivi per cui penso di essere entrata nel cinema è che è un’arte così moderna. Non aveva niente a che fare con i miei genitori, era un mezzo di cui non sapevano nulla. Per loro implicava una certa quantità di volgarità. E questa cosa mi piaceva. Non sopportavo la purezza del mondo di mia madre e le opere classiche che ammirava. Anche se ovviamente quel mondo è ancora tutto dentro di me, e amo le opere che lei amava – vado ancora a vedere le vecchie antiche – ma per molto tempo ho temuto di avere perso tutte le cose ordinarie dell’infanzia, come la televisione. E il cinema era un modo per rimediare a questa perdita, anche se comunque i film che faccio non sono molto mainstream”. Da giovane, Peploe ha cercato i grandi del mezzo e si è immersa nel mondo del cinema. È stata l’assistente di Michelangelo Antonioni nel suo film sull’apocalisse di Los Angeles di fine anni ’60 Zabriskie Point, e ha sviluppato una passione per le opere della new wave francese, incluse quelle di Jean-Luc Godard. Il suo amore per l’iconoclasta francese si è dimostrato cruciale quando ha conosciuto un protegé del regista a cui sarebbe rimasta profondamente legata. Quel compagno appassionato di Godard era Bernardo Bertolucci, e Peploe è diventato sua assistente alla regia nell’epico film di cinque ore Novecento. Al momento dell’uscita del film, Peploe e Bertolucci vivevano insieme. Nel 1980 erano sposati. Peploe è stato co-sceneggiatore insieme a Bertolucci e suo fratello del controverso La luna.

Di recente, il fratello di Peploe, Mark, ha scritto insieme a suo cognato The Last Emperor e The Sheltering Sky. Non contenta di essere solo la moglie di un famoso regista, Peploe ha raccolto i suoi primi riconoscimenti per il suo debutto alla regia con Couples and Robbers (1981), per il quale Peploe ha ricevuto una nomination all’Oscar per il miglior cortometraggio. Il suo debutto cinematografico è avvenuto nel 1988 con il film High Season (scritto insieme al fratello Mark), che ha vinto un Silver Shell al San Sebastian Film Festival. Il suo lavoro successivo, un adattamento di Sauce for the Goose di Patricia Highsmith, ha vinto il Prix du Public al Festival de Cognac. Lo sceneggiatore William Brookfield ha scritto la sceneggiatura di Rough Magic insieme a Peploe.

L’adattamento del romanzo in una sceneggiatura ha richiesto diversi cambiamenti, e Peploe non ha avuto problemi a farli. “In realtà è stato un processo lungo”, afferma Peploe. “Il romanzo contiene alcune sequenze assolutamente divertenti, ma la trama è irregolare, come se lo scrittore si ubriacasse ogni sera e dimenticasse quello che aveva scritto la sera prima. Le scene sono brillanti ma hanno pochi collegamenti tra loro. Ad aiutarmi nell’adattamento è stato andare in Guatemala. Mi hanno commossa le cose che ho visto lì, e dalla magia del paese, in particolare la mescolanza di generi, la fusione delle religioni, come anche la convivenza tra occidentali e popoli indigeni. Di fatto, molto di quello che ho visto e vissuto lì l’ho portato in Messico dove ho girato il film. Inizialmente dovevamo girare in Guatemala, ma poi c’è stato uno brutto incidente, una storia tragica: una donna americana è stata quasi uccisa in un villaggio perché pensavano che stesse rubando un bambino. La notizia ha provocato una specie di isteria, l’ambasciata americana ha consigliato a tutti gli americani di non recarsi in Guatemala e non abbiamo potuto girare lì. All’ultimo minuto siamo dovuti passare in Messico, e questa cosa in realtà mi ha spezzato il cuore. Ma resta il fatto che sono stati i miei viaggi in Guatemala a cambiare la magia nella storia, creandone un’atmosfera che non era nel libro”. Peploe è stata in grado di passare dagli aspetti piuttosto solitari del lavoro di sceneggiatura alla fase più collettiva della produzione, e come regista è attenta a lavorare in modo più collaborativo piuttosto che imporre la sua volontà su cast e troupe. “La regia coinvolge così tante persone che diventa necessario usare il talento degli altri e lavorare con persone di cui ti fidi davvero. È la cosa fondamentale. Ecco perché il casting è così importante: se hai un cast intelligente e valido può portarti molte cose, e aiuta a risolvere i dubbi che hai sui personaggi. Ecco perché è fondamentale che a interpretarli siano persone intelligenti. Lo stesso vale con lo scenografo, o direttore della fotografia. È importante creare un feeling comune tra i diversi artisti. Soprattutto, devi iniziare a fidarti delle persone”.

Per prepararsi al film in costume, Peploe e i suoi attori si sono immersi nei film del passato, ma l’ispirazione principale di Peploe è venuta dai media al di fuori del cinema: “Guardavo i film per vedere come erano interpretati. Il personaggio di Bridget doveva essere più una donna degli anni ‘40 nella prima metà del film, perché a quell’epoca le donne erano più indipendenti, e più tardi, quando diventa (letteralmente) senza cuore, è diventata una donna degli anni ‘50, perché in quegli anni le donne erano più stereotipate, intrappolate in un ruolo. Stessa cosa anche per gli uomini. Era un periodo interessante perché l’America aveva vinto la guerra, c’era questa incredibile fiducia in se stessi, mentre l’Europa era stata distrutta e c’era quasi questa fede cieca nella scienza, che è quasi come credere nella magia. Bridget ha guardato una marea di film, è diventata un’esperta dei film di quell’epoca. Ed è diventata questa donna da film di Howard Hawks – si chiama persino “Slim” come Lauren Bacall in To Have and Have Not. Ho anche guardato molte fotografie del Guatemala della fine degli anni ‘40 e dei primi anni ‘50. Poi, naturalmente, quando giri, ti accorgi che devi abbandonare tutte le idee che hai raccolto e andare con quello che hai. Anche se fotografie e dipinti restano la tua fonte di ispirazione”.

Dopo Rough Magic Peploe ha in programma di adattare una trilogia di libri e di affrontare argomenti più oscuri, e in futuro spera anche di produrre il lavoro di altri registi. Nel frattempo, continua a cercare ispirazione nei film e nella letteratura, con una predilezione per le opere più dichiaratamente autoriali. “Mi sono sempre piaciuti i film di persone come Gus Van Sant e Jane Campion perché sono molto personali; mi piacciono sempre i film in cui si sente la presenza dell’autore. Ci sono ottimi film, che però avrebbero potuto essere diretti da qualunque regista, e invece è bello quando trovi un film che sai che avrebbe potuto essere girato solo dalla persona che lo ha girato”.