È con gioia che pubblichiamo il bel documentario diretto da Monica Stambrini Sedia elettrica, nato nel 2011 nel backstage di Io e te come making of e diventato un film su Bernardo Bertolucci, prodotto da Mario Gianani, Wildside e Fiction Film. Di Paola Freddi è il montaggio e di Franco Piersanti sono le musiche.

Ad accompagnarlo qui sul sito, a otto anni esatti dall’anteprima a Cannes, sono alcune clip inedite del making of di Io e te realizzate sempre da Monica Stambrini, un testo di René Marx scritto per il numero monografico dedicato a Bertolucci della rivista Bianco e nero che ringraziamo e, sempre da Bianco e nero, un’intervista a Niccolò Ammaniti, autore del libro da cui è tratto Io e te e cosceneggiatore del film.

Per chi non lo avesse visto, o volesse rivederlo, Io e te è in streaming su Netflix.

LA SCHEDA
DEL FILM

Parliamo tanto dell'adolescenza

di René Marx

 

Ho sessantuno anni. Questo significa che attorno ai miei vent’anni ho scoperto Ultimo tango a Parigi, qualche anno dopo il 1972, quando il film era già stato condannato al rogo in Italia. Eravamo tutti, ragazzi e ragazze francesi, affascinati dalla disperazione estremista di Paul, dalla grazia cupa di Jeanne, dalla bella leggerezza di Tom. Eravamo affascinati dallo splendore musicale di un’opera che ci sembrava insuperabile. Molti ragazzi e ragazze di oggi, del 2019, lo so da fonte sicura, non ci vedono altro che maschilismo, squilibrio di potere, morbosità. Ci sarà un giorno una riconciliazione dei giudizi. Si potranno accettare contemporaneamente le bellezze di questo film e le debolezze del suo autore. Oggi, andando sul Lungosenna all’ufficio della rivista dove scrivo, L’Avant-Scène Cinéma, a Parigi, passo spesso sul ponte di Bir-Hakeim. E Marlon Brando è sempre vicino. In quegli anni ’70 e ’80, da cinefilo e da comunista “all’italiana”, ho visto, sempre affascinato, Strategia del ragno, Novecento e alla fine tutto Bertolucci, anno dopo anno. L’ultimo imperatore, meditazione sul tragico e il vuoto, mi stupisce sempre di più. Ho adorato Il tè nel deserto, film purtroppo trascurato da tanta gente. Io ballo da sola, L’assedio, The Dreamers mi hanno lasciato indifferente, anche un po’ irritato. Forse cambierò idea rivedendoli. Non so. Poi è arrivato dopo anni di attesa Io e te, il tema di questo testo che sto scrivendo.

Come diceva Cesare Zavattini, professore poi amico carissimo di Attilio Bertolucci, consigliere severo e benevolo di un Bernardo diciassettenne, continuiamo a parlare tanto di me. Di me e di Bertolucci.

Nel 2013, ho letto La mia magnifica ossessione. Mi è venuta voglia di vederlo pubblicato in Francia, di tradurlo, di scrivere una prefazione. Durante tutto questo lavoro di preparazione mi sorgevano spontanee delle domande che mandavo in Italia, tramite Fabio Francione e Piero Spila, editori del testo originale. Bernardo Bertolucci rispondeva con precisione, però mai direttamente. Durante quella fatica, e poi alla pubblicazione del libro, non mi ha mai scritto o parlato personalmente. All’epoca questa distanza mi ha un po’ mortificato. Avrei voluto un cenno, un buongiorno, due parole. Ho pensato che aveva una vita difficile, che era un uomo malato, triste forse, che non dovevo offendermi. Dopotutto non ero che un drogman, il traduttore, il passatore. “Chi trasporta con la barca i passeggeri da una sponda all’altra di un fiume”, come dice il dizionario, non è poi un personaggio molto importante. Chi lo vede?

Nel 2018, a L’Avant-Scéne Cinèma, abbiamo deciso di pubblicare per la primavera 2019 un numero speciale su Il conformista. Ho scritto a Bernardo Bertolucci. E lui, in maggio, lui che non mi aveva mai detto niente, mi ha risposto in poche ore, entusiasta, parlando con tanta gentilezza dell'”antica e meravigliosa “Avant-Scéne du Cinéma”. Gli ho chiesto documenti sul film. Mi ha risposto: “Non ricordo una sceneggiatura del Conformista che abbia resistito ai diversi déménagements“. Poi abbiamo stabilito un incontro a Roma per febbraio 2019. Bertolucci ha accettato volentieri un tale incontro, anche se mi scriveva: “Chissà se ho ancora qualcosa da dire sul vecchio Conformista?”. E, in ottobre 2018, mi ha scritto: “Sono molto preso da un nuovo progetto cinematografico. Mi fa piacere che tu lo sappia fin da adesso”. Tuttavia l’appuntamento era preso.

Sarò a Roma in febbraio come previsto (scrivo a qualche giorno dalla mia partenza) ma non ci sarà nessun incontro. A Bertolucci non parlerò. Atei siamo, e non traiamo nessuna conclusione magica sugli incontri mancati, sugli appuntamenti persi, sulle decisioni dell’azzardo. È morto, ecco tutto. Come dice un film scritto dal suo amato Giuseppe, Non ci resta che piangere. Giuseppe, fratello piccolo, morto nel giugno 2012, un mese dopo la première di Io e te a Cannes. Il film gli fu dedicato.

CONVERSAZIONE CON
NICCOLÒ AMMANITI

La scrittura di Io e te
assignment
Scopri di più

Io e te, diciamo la verità (la veritaaaà?), qui in Francia, nessuno lo vide o poco ci manca. All’epoca, ne scrissi una recensione entusiasta. Ma nemmeno i miei amici critici videro questo piccolo film sconosciuto, direi quasi un piccolo film girato da un regista sconosciuto. Presentato a Cannes fuori concorso, venne pressoché ignorato. Ci volle un anno e mezzo perché un distributore francese osasse farlo uscire da noi. E non ebbe nessun successo, malgrado la rassegna contemporanea dell’opera di Bertolucci alla Cinématèque Française. La Cinémathèque dove venne in persona, per una memorabile masterclass di due ore, il 14 settembre 2013. La Cinémathèque, personaggio centrale del film precedente, The Dreamers. L’aneddoto è famoso: “Avevo diciotto, diciannove anni, avevo superato l’esame di maturità, e i miei mi avevano regalato un po’ di soldi. Arrivato a Parigi, invece di andare al Louvre, andavo tutti i giorni alla Cinémathèque”. Era l’anno 1960.

Questi lunghi preamboli per ripetere, a proposito di Io e te, che Bertolucci è sempre stato un adolescente. Ci sono dei grandi artisti che rimangono bambini. Altri, decisamente, sono adulti. Bertolucci ha avuto diciassette anni per tutta la vita. Anche quando mobilitava centinaia di comparse per girare nella Città Proibita.

Io e te racconta una storia semplicissima, con poche peripezie. Un ragazzo di quattordici anni si nasconde nello scantinato del palazzo romano dove abita, per una settimana. Ha fatto credere ai genitori che fosse in montagna per una gita scolastica. Vuole un po’ di pace, vuole riflettere su se stesso, al riparo. Arriva improvvisamente una sorellastra di ventuno anni. Lei pure si ferma in questo grande scantinato. Deve smettere con l’eroina. All’inizio, questa intrusione gli dispiace. Alla fine, due stranieri avranno imparato a conoscersi.

Il film parte da un romanzo di successo, omonimo, di Niccolò Ammaniti. Però tutto il libro è un flashback. Lorenzo, il narratore, racconta un incontro avvenuto in quella cantina dieci anni prima, al momento in cui deve riconoscere in una piccola stazione ferroviaria del Friuli il cadavere della sorella morta di overdose. Il film, abbastanza fedele al racconto di Ammaniti, cancella invece la fine tragica di Olivia. Questa differenza dà al film tutto il suo senso. Per la prima volta, fin dal primo film, Bertolucci sceglie un happy end. Dopo tanto di crisi di astinenza, di sofferenze rovinose, dopo tanto di choc emozionali per il giovanissimo Lorenzo, i due conquistatori escono vittoriosi al gran sole. Dopo tanti film dolorosi, Bertolucci tende all’ottimismo, parola che sarebbe stata quasi oscena nell’ambito delle sue opere precedenti. Nelle ultime inquadrature Olivia, benché porti ancora enormi occhiali per proteggersi dalla luce, ha promesso al fratello di smettere con l’autodistruzione e sembra che manterrà la sua promessa. E Lorenzo compare per l’ultima volta sullo schermo con un’immagine fissa, omaggio evidente al finale di Les quatre cents coups (I 400 colpi, 1959) di Truffaut. Perché Lorenzo, come Antoine Doinel, ha sofferto (“Ici souffrit injustement Antoine Doinel, puni injustement par Petite Feuille pour une pin-up tombée du ciel”). Però, malgrado le disgrazie, tutti e due vengono fissati sullo schermo nel loro cammino verso la libertà. E guardano lo spettatore e il futuro negli occhi, fiduciosi. In un certo senso, la fine di Les quatre cents coups era altrettanto un happy end che non dimenticava niente dei dolori della vita.

Per tanti registi, altrettanto geniali, la biografia non è una chiave utile. Per Bertolucci, lo è decisamente. Se ci atteniamo alla sua biografia, si deve osservare che il film compare dopo nove anni di silenzio, di malattia, di depressione. La “sedia elettrica”, strumento della disgrazia per Bertolucci, rinchiude un uomo come si rinchiude all’inizio Lorenzo nel silenzio, nel malumore, nella scontentezza, nel sottosuolo. Scherzando (o no?), il regista diceva che questo triste veicolo era stato inventato per lui dal diavolo per punirlo dei troppi carrelli che aveva fatto nei suoi film. Il regista impone questo arnese malefico a Pippo Delbono, interprete dello psicologo che vuole curare, guarire l’adolescente infelice Lorenzo. Lo sceneggiatore Bertolucci vuole guarire l’adolescente infelice Bernardo. Il vecchio adolescente superato dall’età, dalla malattia — la sua e quella, ben presto fatale, del fratello —, superato al tempo che ferisce impietosamente. Ferisce anche se siamo stati fedeli ai nostri diciassette anni. Impietosamente. Poi, il sottosuolo, Bertolucci lo sapeva, è anche il regno del personaggio del romanzo del 1864 di Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo. Romanzo modello, l’hanno spesso detto, tanto per Woody Allen quanto per Martin Scorsese. Angosce di Allen, di Scorsese, di Bertolucci, senza dubbio paragonabili. Partner, nel 1968, era l’adattamento di Il sosia dello stesso Fëdor Dostoevskij.

Ma in Io e te, per la prima volta, i seppelliti volontari escono alla luce. Dostoevskij non c’è più. Le affinità freudiane di Bertolucci ci autorizzano a interpretare la scena del ristorante tra Lorenzo e la madre. Lui le chiede se in caso di apocalisse potrebbero, incestuosamente, permettere all’umanità di sopravvivere. La madre protesta, cambia argomento. Ma non è un dialogo tragico, serio. Ecco il senso della domanda, penso: un’ultima volta Bertolucci accenna alla sua ossessione per l’incesto. Ultima volta, perché lo fa sul tono dello scherzo, senza più niente della severità di Prima della rivoluzione, di La luna, di The Dreamers. Finalmente può menzionare l’incesto per provocazione, per stuzzicare un po’ la mamma, per dare il congedo alle vecchie ossessioni. Quelle di Lorenzo e le sue, probabilmente. La convivenza di Lorenzo con Olivia esclude del resto ogni ambiguità. Tra i due non c’è nessuna tentazione sessuale. Si parlava di Truffaut, ma c’è pure Jean Cocteau. Bertolucci non dimentica mai il cinema amato, i film. Il rapporto di Io e te con la mitologia degli enfants terribles di Cocteau include la poesia, la magia dell’adolescenza, i suoi sogni e le sue sofferenze, la promiscuità tra fratello e sorella, ma ne esclude le tentazioni che c’erano nell’opera di Cocteau. Certo, Lorenzo guarda una foto della sorella quasi nuda, ma sembra che lo faccia con la giusta distanza. L’importanza è la nascita dell’amore fraterno tra due ragazzi che non si conoscevano veramente. Impossibile che Bertolucci non abbia pensato al rapporto con Giuseppe, sapendo quanto grave era durante le riprese.

Di più, mi sembra che, davanti alla bellezza eccezionale di Tea Falco, non c’è più per Bertolucci la tentazione puramente voyeuristica che c’era sempre stata nel suo cinema, per il meglio spesso, e forse per il peggio in Io ballo da sola o The Dreamers. Tea Falco è bella quanto lo erano Liv Tyler o Eva Green. Probabilmente la sua bellezza fa parte della decisione di Bertolucci di impegnarla nel film. Ma è presente come artista, come fotografa. Da regista, Bertolucci non la guarda più con gli occhi di una volta, ma come una collega in arte. Anche questo, ci rivela qualcosa dell’intimità di Bertolucci.

Io e te, dopo gli anni di depressione che seguirono la paralisi, una vita tormentata, dopo lo sforzo eroico di tutta questa vita per essere fedele al giovane poeta che fu una volta, sarebbe allora il film della riconciliazione con se stesso. Una muta, un cambio di pelle, per il meglio. Lorenzo, Olivia e Bernardo si salvano insieme. I film precedenti erano poco legati al presente. In Io e te, possibilmente con una complicità nuova con i suoi giovani attori, Bertolucci è attento ai modi, alle parole, agli oggetti del 2012. Il film parla direttamente al mondo di oggi, quando per esempio Io ballo da sola era distaccato dal contemporaneo. Almeno mi pare.

Io e te è un titolo stranissimo. Ovviamente, questo ordine, prima io, poi te, non è naturale. La cortesia esige in tutte le lingue di dire “te e io”. Nei titoli di testa del film c’è un giochino di animazione. Prima si legge “Te e io”. Poi le parole si muovono e si invertono. Il regista ha conservato il titolo originale del libro perché la sua stranezza l’ha colpito. Parliamo tanto di me è un’affermazione forte, una rivendicazione. Forse una rivendicazione forte, valida, da adolescente. Da artista. La happiness di Io e te è legata a tutta la tematica di Bertolucci fin da Prima della rivoluzione. Ciò che conta è l’adolescenza, cioè la bellezza delle “prime volte”, la fedeltà a quella bellezza del debutto, fedeltà anche da grande, anche da vecchio, da malato. Il ritiro di Lorenzo e Olivia in questo bosco incantato e anche vagamente squallido, fa sì che il film, se parla del rapporto fraterno, tratta anche dell’importanza, della bellezza che ci sono nel fascino degli adolescenti per la propria vita interiore. Si tratta per loro di rintracciare il senso smarrito della loro vita. Selva oscura…

 

[in biancoenero, n. 593, gennaio 2019]